Lunedì 22 marzo 2021 l’attore Lorenzo Randazzo si è laureato in Teatro, Cinema e Spettacolo multimediale al dipartimento di Scienze Umanistiche dell’Università degli Studi di Palermo con una tesi sul teatro di Giuseppe Fava, relatrice della tesi è stata Anna Sica, illustre professoressa di Storia del teatro e della recitazione.
La tesi di laurea di Lorenzo Randazzo, dal titolo La scena rivoluzionaria di Giuseppe Fava, è il primo lavoro di ricerca sul drammaturgo catanese presentato all’Università di Palermo. La ricerca persegue il proposito di presentare la vita e le opere del drammaturgo catanese e di analizzarne i temi e il contesto storico nel quale operò, sia dal punto di vista teatrale (la recitazione, la drammaturgia, la messa in scena) sia dal punto di vista etico, politico e sociale.
L’analisi della sua attività drammaturgica svela l’esigenza dell’autore di indagare, attraverso la scena, la condizione umana e le sue contraddizioni, volta a raccontare il suo tempo.
La lotta alla mafia ha significato per Fava una vera missione di vita. Ma nei suoi testi teatrali si rintracciano altre tracce di soprusi e violenze e anche i dibattiti sull’emigrazione, la religione e la scienza, il ruolo della donna e l’amore, il metateatro e la lotta di classe, denunciando soprattutto la condizione di povertà e di ignoranza del sud Italia.
Il filo conduttore che attraversa tutte le opere di Fava è la ricerca della verità, che insegue da giornalista e soprattutto da drammaturgo. Mediante la scena egli rende lo spettatore cosciente della propria condizione sociale, politica e morale, fornendo gli strumenti per una rivoluzione delle coscienze, e giungere così ad una “insperata” rivoluzione sociale. Una scena rivoluzionaria, dunque, sia nel contenuto, in quanto quasi tutti i suoi testi trattano del tema della rivoluzione sociale, della ribellione contro i potenti, sia nella forma con una drammaturgia che fa uso di tutti i generi teatrali, la tragedia, la commedia, la farsa, il dramma, l’opera dei pupi e la tradizione popolare del teatro siciliano, recependo con essi anche i grandi classici del teatro, Shakespeare, Brecht, Pirandello.
Una peculiarità della drammaturgia faviana è la veritiera analisi dei personaggi per i quali l’autore crea una differente tipizzazione linguistica: i poveri e gli ignoranti della classe popolare si esprimono in vernacolo siciliano, nel solco della antica tradizione delle vastasate e della commedia erudita siciliana, mentre i personaggi appartenenti alla borghesia in un multilinguismo italiano-siciliano. È rilevante il lavoro di recupero del repertorio popolare della tradizione orale.
Un ulteriore tratto distintivo della sua drammaturgia è rappresentato dalla visionarietà e dall’umorismo e da una leggerezza che accompagnano le storie portate sulla scena, per rappresentare l’eterna speranza di riscatto dell’uomo, soprattutto del sud, abituato a sopportare per molto tempo violenza e sopraffazione. La sua visione della messinscena è completa, ossia riguarda tutti i suoi elementi, attraverso accurate note di regia, didascalie e descrizioni precise riguardanti la musica, le luci, la scenografia e la recitazione degli attori.
A impreziosire le messe in scena dei suoi spettacoli sono state sicuramente le interpretazioni del grande attore Turi Ferro, uno degli ultimi esecutori del metodo di recitazione della Drammatica italiana oltreché animatore e fondatore dello Stabile di Catania. Ferro rappresentò per Fava l’attore ideale da cui trasse ispirazione e indicazioni che agevolarono la sua scrittura per la scena e la recitazione.
Nei copioni di scena rinvenuti presso l’Archivio della Fondazione Giuseppe Fava, sono state individuate sigle declamatorie riconducibili alla tradizione della Drammatica Italiana quali per esempio la cosi detta grappa assimilativa concernente indicazione sulla tonalità interpretativa, tradizione conosciuta sicuramente da Turi Ferro, tramandatagli dagli attori siciliani a partire dal catanese Giovanni Grasso.
Giuseppe Fava è stato l’autore “ufficiale” del Teatro Stabile di Catania negli anni della direzione di Mario Giusti, ideando opere pensate appositamente per essere messe in scena dalla compagnia dello Stabile, nel quale vennero rappresentate cinque delle sue opere a partire dal 1966 fino al debutto dello spettacolo Ultima Violenza del 1983. L’Ultima violenza è uno sfrontato attacco alla mafia che venne presentato davanti ad una gremita platea tra cui spiccavano anche le autorità politiche del tempo. Indubbiamente, ora, esso rappresenta il suo testamento teatrale, etico e politico. Con questo spettacolo Fava manifesta una netta posizione di denuncia del potere, del marcio della società, della corruzione, della violenza e delle implicazioni collusive tra la mafia, la politica e la società in un unico grande processo, dove gli imputati sono rinchiusi in enormi gabbioni di ferro.
Dopo l’assassinio di Giuseppe Fava, nel 1984 il giudice Giovanni Falcone chiese di visionare la videocassetta dello spettacolo. La questione desta, verosimilmente, adito al fatto che Fava abbia potuto profetizzare il maxiprocesso di Falcone contro la mafia, e che possa aver contribuito a smascherare le dinamiche collusive che stavano alla base di quella che oggi viene indicata “Trattativa Stato – mafia”.
Inoltre appare alquanto sorprendente, oltre che simbolico, che l’uccisione del drammaturgo sia avvenuta proprio davanti al Teatro Stabile di Catania. Seppur non ci sia nessuna prova che faccia risalire alle ragioni della scelta del luogo dell’esecuzione, l’uccisione dinnanzi al Teatro sembra proprio un’impeccabile coupe de mask, con il quale si è voluto interrompere per sempre il legame di Fava con il suo teatro politico e di denuncia sociale, a testimonianza del fatto che il linguaggio teatrale è lo strumento più immediato ed intimo per svelare la malvagità dell’animo umano. Oggi quella via davanti lo Stabile porta il suo nome ed è simbolo della rivoluzione di un uomo innanzitutto di teatro.