Nella ricorrenza del 25° anniversario della morte di Giuseppe Fava, la fondazione a lui intitolata ha organizzato una intensa tre giorni di memoria e di attività.
Il 2 Gennaio, in una conferenza stampa al teatro Brancati di Catania, il presidente della fondazione ha illustrato l’intenso programma, e presentato le due pubblicazioni più recenti, il volume “Processo alla Sicilia” (riedizione dell’inchiesta pubblicata nel 1967 dalla ITES) e il CD/DVD contenente la scansione completa di tutti i numeri de I Siciliani. Quasi scontate le domande le domande dei partecipanti: come ci si sente dopo 25 anni; cosa ha provato quella sera di venticinque anni fa. Solo i più giovani, timidamente, si interrogano su cosa avrebbe scritto oggi Fava se fosse ancora vivo.
Molti dei suoi scritti sono di un’impressionante attualità, risponde la figlia Elena, il messaggio di Fava non è soltanto attuale come invito alla verità, ma anche e soprattutto per la persistenza del sistema affaristico-criminale. Molte delle inchieste del 1967 sembrano scritte ieri.
Le sere del 3 e 4 gennaio, un gremito teatro Brancati ha seguito con attenzione la proiezione in anteprima nazionale del filmato “Giuseppe Fava, un uomo” di Silvia Bacci, della serie La storia siamo noi di Gianni Minoli. L’interessante documento analizza tutto il percorso giornalistico di Fava, ed il clima in cui maturò la decisione di uccidere il giornalista. Il filmato prende spunto dall’intervista di Enzo Biagi per Film Story e si arricchisce delle importanti testimonianze di Elena e Claudio Fava, di Riccardo Orioles e Michele Gambino (giornalisti de I Siciliani), di Adriana Laudani (legale della famiglia Fava) attraverso le quali sono tessuti l’antefatto e lo sviluppo della decisione dell’assassinio.
La connivenza politico-affaristico-mafiosa, da subito denunciata dalla famiglia e dai collaboratori di Fava ma riconosciuta solo anni dopo durante le varie fasi processuali, risulta ampiamente confermata dall’inedita intervista della Bacci ad Angelo Siino, il ministro dei lavori pubblici di Totò Riina.
Alla fine della proiezione un lungo applauso ne ha sottolineato la qualità, e la sera del 3 gennaio uno spontaneo dibattito ha denunciato il ruolo assolutamente negativo avuto dalla stampa cittadina su tutta la vicenda Fava, dall’assassinio al processo, sino ad oggi.
Il 4 gennaio, a Palazzolo Acreide è stato proiettato il coraggioso documentario “Biutiful Cauntri” di Esmeralda Calabria, Andrea D’Ambrosio e Peppe Ruggiero, che denuncia il grave inquinamento ambientale della Campania prodotto dallo smaltimento dei rifiuti, il ruolo della camorra, le omissioni della politica e il vantaggio delle aziende del nord Italia che smaltiscono rifiuti tossici a basso costo. Per l’ impegno civile del documentario, la Fondazione Fava ha ritenuto di premiare con il premio Fava anche quest’opera.
Il 5 gennaio, dopo l’omaggio floreale della famiglia alla lapide che ricorda l’uccisione di Fava e l’affissione di una fotografia della scritta apparsa in questi giorni a Librino (Pippo Fava è vivo fra gli onesti) l’intensa tre giorni si è conclusa al Centro Culturale Zo con un incontro sull’informazione, moderato da Claudio Fava al quale hanno partecipato Carlo Lucarelli, Pino Maniace (di Telejato) e Roberto Natale (Presidente della Federazione Nazionale della Stampa Italiana).
Cos’è cambiato a Catania venticinque anni dopo l’omicidio Fava? È la domanda che Claudio Fava pone in apertura. Una risposta difficile, dice egli stesso, quasi un ossimoro, molto e niente! È cambiato molto, una parte di questa città, che sente la mancanza di un’informazione libera, di un giornale come I Siciliani, si è impossessata della figura di Fava e l’ha difesa, strenuamente, dagli attacchi subdoli e continui della parte di città che non è cambiata per nulla. La città ben rappresentata dal giornale cittadino che, venticinque anni fa, ha sostenuto che la mafia a Catania non esisteva, che l’assassinio di Fava non poteva essere mafioso perché era sì un letterato, un romanziere, un intellettuale di successo, ma le cose che scriveva erano note a tutti! Non è possibile che l’attività giornalistica sia stata la causa del delitto; bisogna cercare altrove! Una subdola opera di delegitimazione della denuncia giornalistica e teatrale, proprio come avviene oggi con Saviano!
Carlo Lucarelli nel suo intervento ha ribadito che solo alcune cose sono cambiate nel Paese, e tra queste certamente l’interesse dei giovani, decisamente maggiore rispetto a dieci anni fa. Dei giovani che hanno abbandonato l’edonismo e ricominciano a chiedersi i perché di ciò che li circonda. E chiedendosi cosa debba ancora cambiare, lo scrittore ha detto che devono cambiare gli intellettuali, i giornalisti, gli scrittori, troppo spesso attenti all’audience, alle classifiche, che non ai contenuti. Bisogna “raccontare” la verità anche se non fa audience, perché il pubblico attento vuole sapere.
E ciò va fatto anche per dare una “scorta mediatica” ai giornalisti e agli intellettuali in prima linea, come Lirio Abate e Roberto Saviano, ha aggiunto Roberto Natale. Continuando il suo intervento, il Presidente FNSI, ha aggiunto che da parte del giornalista occorre più attenzione e coscienza, con un’idea non corporativa della professione ed una riscoperta delle priorità professionali. Priorità professionali che al momento sembrano dimenticate. Il giornalismo d’inchiesta non esiste quasi più; la televisione (forse per la stessa natura del mezzo legato fortemente all’immagine) e purtroppo anche la carta stampata danno sempre più spazio ai delitti privati (che apparentemente fanno notizia) e sempre meno ai grandi delitti pubblici come la corruzione e la criminalità organizzata. Occorre battersi per la libera circolazione dell’informazione, per il ritorno all’inchiesta. Contro ogni monopolio, che inevitabilmente sfocia nell’informazione ansiolitica, minimizzando i grandi problemi del Paese dalla corruzione alla crisi economica, difendendo ad oltranza la libertà ed il diritto all’informazione dalle recenti proposte di legge che rischiano di cancellare, tra l’altro, la cronaca giudiziaria, le relative inchieste e la possibilità di denuncia, traghettando il Paese nella cosiddetta post-democrazia o dittatura dolce.
Pino Maniaci, raccontando l’esperienza di Telejato, ha confermato la piena attività della connivenza politico-mafiosa, che legiferando in pieno contrasto con le direttive europee (le vinacce esauste in Italia non sono più tossiche da alcune settimane) ha di fatto già dato inizio alla dittatura dolce. Maniace ha anche denunciato il recente regalo natalizio fatto dalla politica alla mafia, abolendo la necessità di certificazione antimafia per appalti sino a 500.000 euro.
Alla fine della serata Elena Fava ha consegnato la targa del Premio Giornalistico Nazionale Giuseppe Fava 2009 a Carlo Lucarelli il quale, ringraziando, si è detto felice di ricevere un premio che accosta il suo al nome a quello di un intellettuale che è sempre stato per lui un modello di riferimento.
In chiusura relatori e pubblico hanno sollecitato la direzione di Repubblica alla distribuzione dell’edizione siciliana anche a Catania e di aprire una redazione catanese della testata per infrangere il monopolio di Mario Ciancio. La distribuzione dell’edizione siciliana di Repubblica nella Sicilia orientale deve essere sbloccata in nome della pura logica di mercato sulla libera circolazione delle merci, e tra queste anche della “merce informazione”. Non occorre scomodare la nobile categoria della libertà d’informazione, è una semplice questione di antitrust! Sempre la sera del 5 gennaio, a Cittainsieme, si è svolto un incontro dei “giornalisti di base” (i Cordai, Step1, uCuntu, Casablanca, Girodivite, CataniaPossibile, Liberainformazione) e altre esperienze cittadine. Ancora un’occasione perduta per la società civile catanese di stare insieme, di fare sistema contro la mafia ed il monopolio dell’informazione, nonostante i comuni auspici formulati nel dicembre 2007 (cfr news del 1 dicembre 2007, ndr).