LA QUALCOSA
Scritta nei secondi anni cinquanta, in collaborazione con Pippo Baudo.
È andata in scena, insieme a “Uomini in tondo sei”, nella stagione teatrale 1959 al Centro Sperimentale di Prosa dell’Università di Catania – Museion – presso la Casa dello Studente (via Oberdan-via Verona).
Gli autori l’hanno definita, come si legge nella brochure della stagione teatrale, “antirivista in un atto”.
Dalla presentazione in brochure: … lo spettacolo di Baudo e Fava rispetta la nuova corrente del teatro da camera francese. Teatro che in Italia ha avuto come precursori I GOBBI con il loro “il dito negli occhio”. Nello spettacolo di Baudo e Fava si nota però una critica ancora più severa, senza lasciare gli effetti spettacolari.
Durante il riordino dell’archivio di Giuseppe Fava sono stati ritrovati molti reperti col titolo La Qualcosa. Dal loro studio emerge che la pièce (della quale manca il copione definitivo) è caratterizzata da un’azione scenica con struttura a “siparietti”; singole storie brevi legate tra loro da un presentatore (compitissimo) e un Professore (declamante).
È proprio il Professore, mentre presenta la conferenza che si accinge a tenere, che svela il senso del titolo. “… Parleremo di cose essenzialissime e importanti, per noi che ve le diciamo e per voi che le ascoltate. […] La Qualcosa? Ordunque cos’è la qualcosa? … La verità, amici, la verità!”
Un via vai di personaggi, sui quali presentatore e conferenziere avanzano commenti, definendone ruoli e metafore. In una ballata grottesca si alternano il giudice, il deputato, un mendicante, il radiocronista, l’onorevole. L’epilogo è sempre caratterizzato da una morale, spesso in antitesi a tutta l’azione.
I principali siparietti rinvenuti sono:
L’onore e le pantofole. Solito triangolo marito, moglie, amante, con quest’ultimo che suggerisce di ignorare tutto.
Le Poesie coi baffi. Personaggi: omino, brigadiere coi baffi, poliziotto coi baffi, commissario. In commissariato brigadiere e poliziotto accusano l’omino di furto. Poi, nel corso dell’azione, scoprono di aver avuto un’infanzia comune, giochi, poesie sui fiori, innamoramenti. All’arrivo del commissario, brigadiere e poliziotto dicono che l’omino è un loro amico e l’accompagnano alla porta!!!
Lamento in morte di una via. La scena mostra la strada che non c’è più. La strada dei bordelli (via Maddem), demolita per il risanamento del quartiere San Berillo (#). Il presentatore evoca situazioni, ricordi, stati d’animo che, di volta in volta sono rappresentati sulla scena da ombre o personaggi fugaci. Solo qualcuno di essi ha l’onore della battuta. Non è l’elogio della prostituzione, precisa, bensì la nostalgia di chi allora aveva vent’anni. Poi aggiunge, … La demolizione, però, sarà anche sanificazione, i bimbi cresceranno in ambienti non più malsani. Alla fine, un avventore si aggira tra le macerie cercando di orientarsi e trovare la casa che frequentava …, un bimbo avverte: se cerchi una donna, seguimi, …, duemila lire!!!!
Pippo Baudo, al telefono ha confermato il sottotitolo “antirivista”, che per Fava e lui La Qualcosa era “la verità”, (proprio come afferma il conferenziere nel copione ritrovato), nonché la struttura scenica “a siparietti” con singole storie brevi.
Pippo Baudo, al telefono ha confermato il sottotitolo “antirivista”, che per Fava e lui La Qualcosa era “la verità”, (proprio come afferma il conferenziere nel copione ritrovato), nonché la struttura scenica “a siparietti” con singole storie brevi.
E ha aggiunto che nella rappresentazione andata in scena al Museion era inclusa “Lamento in morte di una via”, raccontando due aneddoti:
– la battuta: … è stato un bene che le abbiano chiuse…, ha suscitato un intenso mormorio del pubblico;
– alla scena del bimbo che procaccia le donnine per duemila lire, il sindaco La Ferlita si alzò esclamando “queste sono masturbazioni intellettuali” e abbandonò la sala.
Non sappiamo quali siparietti fecero parte della rappresentazione del 1959, salvo Lamento in morte di una via.
(#) la pièce trae lo spunto dall’articolo I Passi Perduti, scritto da Fava su ESPRESSO SERA del 21 ottobre 1957, e dunque non ha relazione con l’applicazione della legge Merlin (20 febbraio 1958 n.75), come qualcuno potrebbe immaginare.