ULTIMA VIOLENZA
Dramma in tre atti
In scena al Teatro Stabile di Catania nel novembre 1983. Premio IDI 1984. Tournée Nazionale nel 1985. In scena a Parigi “Palais de Justice” nel 1990 (traduzione e regia di Pascal Papini)
dalla IV di copertina …
Gli ultimi dieci anni sono stati certamente i più tragici del dopoguerra italiano: un crescendo della violenza che ha insanguinato la nazione portandola sull’orlo del fallimento civile. All’antica violenza, altre se ne sono aggiunte. sempre più crudeli; più vaste, più misteriose: il Terrorismo, protagonista di una strage che ha fatto vacillare le istituzioni dello Stato, la Camorra diventata oramai la feroce padrona di una delle più grandi, infelici città d’Europa, la nuova Mafia, che ha abbattuto uno ad uno tutti coloro, giudici, generali, presidenti, che si opponevano, e manovra decine di migliaia di miliardi, domina ministeri, regioni, banche, opere pubbliche, contrabbandi, crimini, appalti, voti di centinaia di migliaia di cittadini, le coscienze di milioni di uomini. Lei, la Mafia. L’eterna, invincibile, diabolica sovrana della società. La violenza più alta alla quale si collegano e assoggettano tutte le altre.
«Ultima violenza» è il documento di quello che può accadere, che accadrà domani, quando la società ferita e morente farà l’ultimo disperato tentativo di salvezza: un processo a sette personaggi coinvolti forse in un solo assassinio, uomini politici, finanzieri, terroristi e mafiosi, emblematici di tutta la violenza italiana. Il palazzo di giustizia è stretto in un mortale assedio; fuori, infatti, si addensa l’imminenza della tragedia, una tragedia sconosciuta; può essere una terribile rivolta popolare che farà strage di tutti, giudici e imputati, oppure il trionfo definitivo degli assassini.
E dentro questo mistero della giustizia. un protagonista che è, a sua volta, un mistero umano. L’unico avvocato difensore del processo, ironico, buffo, crudele, tragico, irridente, portatore di un suo segreto che, via via, attraverso una serie di colpi di scena, sconvolgerà l’evento. Egli stesso spettacolo dentro lo spettacolo, fino alla rivelazione finale.
«Ultima violenza», che il Teatro Stabile di Catania mette in scena per l’inaugurazione della sua stagione 83-84, e che per i prossimi due anni viaggerà per tutti i maggiori teatri italiani, è un dramma il quale, nella sua perfetta struttura teatrale, possiede anche la forza narrativa e il fascino di un grande romanzo. Un nuovo stile di racconto per cui ogni lettore avrà la esatta conoscenza drammatica delle parole e tuttavia, contemporaneamente, la possibilità fantastica di dare un volto ad ogni personaggio, e di attribuire un significato personale alla tragedia di tutta la società!
presentazione dell’Autore (dall’edizione Tringale 1988, vol. I) …
Quando avevo poco più di vent’anni, guardando ogni giorno la piccola società siciliana dentro la quale vivevo, gli uomini che partivano per il Venezuela, il Canada, l’Australia, le miniere del Belgio, la moltitudine di essere umani che la fame, la disoccupazione, il bisogno, il dolore, costringevano a cercare altrove per l mondo una possibilità, anzi una dignità di esistere, pensai com’era facile trovare in mezzo a loro uomini disposti, per denaro, ad uccidere altri uomini. Non c’è uomo che per vivere, per vedere vivere i propri figli, alla fine non sia disposto ad uccidere. E pensai anche come, modificandosi l’antica civiltà contadina per le contaminazioni e seduzioni di un’altra civiltà, e crescendo quindi le necessità e i bisogni della vita umana, questo periodo diventasse sempre più vasto e tragico. Scrissi il mio primo romanzo “Prima che vi uccidano”, il titolo era tratto da una frase del libro dell’Apocalisse: attenti voi, padroni della terra, sovrani che avete palazzi sulle cime della montagna, per la vostra avidità e superbia, un giorno i poveri della terra vi cercheranno per uccidervi e il sole diventerà rosso per il vostro sangue.
Passarono gli anni, la società italiana, quella meridionale anzitutto, com’è destino storico delle società povere ed infelici, cominciò ad insanguinarsi ogni giorno di più, la povertà disconosciuta e disprezzata, l’arroganza dei padroni, la corruzione del politici. La mafia prese possesso della Sicilia, ma non era più quella cosa feroce e antica per la difesa della “roba”, era una violenza più oscura e vasta che aggrediva l’intera società. Era la demenza del potere. Lentamente, fatalmente cominciò a risalire la nazione, via via appropriandosene, incontrando altre forme di violenza moderna ed appropriandosene, altre prede della società e conquistandole.
Scrissi “La Violenza” che era il documento di quegli anni. Sono trascorsi dieci anni e l’universo dentro il quale viviamo è profondamente cambiato, le speranze di quel tempo sono state sconfitte, gli uomini che allora combattevano sono caduti.
Ora è il tempo dell’Ultima Violenza. Cosa unisce queste due operazioni teatrali che sembrano portare in titolo l’identica sfida?
In realtà, a parte l’idea strutturale di partenza, cioè il processo in teatro, la differenza tra le due opere è assoluta. Anzitutto la vastità dell’evento; nel primo dramma una dimensione precisa, fatti e personaggi che ancora erano sulle prime pagine dei giornali, ma ormai accaduti e vissuti, stampati nel loro tempo; e in questo dramma, invece, il pericolo incombente del disfacimento morale del paese per l’assalto criminale, con personaggi che ancora vivono o stanno per vivere la loro tragica vicenda, l’ultimo disperato tentativo di una nazione per scampare al trionfante furore degli assassini, mafia, camorra, terrorismo, l’uno all’altro legato da una sorta di infame disegno criminale, dietro il quale stanno le ombre dei grandi padrini.
E su tutto l’imminenza di un evento terribile che non è ancora accaduto e tuttavia rappresenta una sempre più cupa ipotesi sulla vita del Paese. E nemmeno sappiamo da quale parte, con quale crudeltà. Questa l’imminenza.
Se una sera si spegnessero contemporaneamente le le luci ed i televisori, e le radio tacessero di colpo tutte le città di tutte la nazione, ognuno penserebbe che il terribile evento è giunto. la tragica rivoluzione delle vittime, disposte a sacrificare la libertà pur di non patire ancora dolore e sofferenza, o a definitiva conquista dello Stato da parte della violenza. O tutte e due le cose, ferocemente insieme.
E dentro questa tragedia collettiva, al di là della struttura teatrale del processo, emerge la vicenda idi un uomo solo, un protagonista nel quale si aggrovigliano tutte insieme le componenti drammatiche, il dolore umano, la paura, l’ironia, la vendetta, la speranza, il sogno, com’è giusto che sia in un tempo in cui ogni essere mano di questa nazione sente più profondamente nella coscienza l’angoscia di tutta la società, e capisce che il suo destino non potrà mai essere diverso da quello di tutti gli altri, e deve quindi trovare anzitutto nella sua anima una definitiva verità. Un personaggio che si eleva solitario e misterioso nel cuore della tragedia fino alla rivelazione finale. Arcangelo o diavolo? Domanda giusta, poiché nn sappiamo chi sarà presto o tardi il padrone della società italiana e quindi della nostra vita.