PASSIONE DI MICHELE
Dalla quarta di copertina
Vi è, in tutta l’opera di Giuseppe Fava (narratore, giornalista, scrittore di teatro e di cinema) un dato costante, un riferimento ricorrente e via via, più insistito: e cioè l’attenzione portata sull’umanità in tutti suoi aspetti, lo scavo e l’indagine di una condizione umana che conducono direttamente alle nostre “Grandi Madri”; il dolore, la terra, il tempo, l’amore, la felicità, l’infanzia, il mare, la giovinezza…
E si direbbe che questa vocazione (un realismo senza artificio, capace di tasti tenerissimi e di asprezze crudeli, dilunghi abbandoni della memoria e incalzanti pagine di azione) trovi qui espressione più intensa, più sapientemente costruita.
È la storia del ragazzo Michele Calafiore, uno dei tanti che emigrano nella ricca Germania, dello stordente contatto con la civiltà della città e del benessere, del soave amore per Gabrielle, del delitto di cui viene accusato, di un processo che ha il volto e l’andamento di una macabra macchina del terrore e della pazzia…
Racconto di una felicità perduta, di una “passione laica”, appunto, romanzo in cui la scrittura si fa oggetto fisico, tangibile, concreto.
E c’è uno spunto ulteriore da considerare. Passione di Michele è stato scritto in contemporanea o subito dopo la sceneggiatura del film Palermo oder Wolfsburg (Orso d’oro al Festival di Berlino del 1980), scritta a quattro mani con Werner Schroeter. Fava e Schroeter non hanno operato per semplice collaborazione, ma per confronto, per differenziazione, per contrapposizione anche. E sarà dunque una scoperta misurare come due artisti, un po’ alla maniera rinascimentale, abbiano svolto e risolto lo stesso tema.